Differenza tra mutatio ed emendatio libelli:

Il divieto di domande nuove nel nostro processo civile obbliga le parti a proporre tutte le domande sin dalla fase introduttiva del giudizio, con conseguente possibilità di dedurre nuove pretese nel corso della lite solo in via del tutto eccezionale. Si parla pertanto di mutatio libelli quando si ha un radicale mutamento della domanda processuale, vietato dalla normativa vigente, mentre si parla di emendatio libelli quando si tratta di una semplice modifica, come tale pertanto ammissibile. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.12310 del 2015, rimodula la distinzione tra domande nuove, modificate e precisate, favorendo un’impostazione più elastica, basata sull’intera vicenda sostanziale dedotta in giudizio. In effetti la Cassazione con tale sentenza ha voluto risolvere il contrasto formatosi tra due teorie: quella prevalente che riconduceva all’ambito della mutatio inammissibile la variazione di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda e quella liberale, che invece   ricomprendeva il movimento da una domanda all’altra nell’ambito dell’emendatio.
Le Sezioni Unite hanno tratteggiato un diverso criterio peculiare in grado di orientare le scelte dell’interprete; secondo la Cassazione “la vera differenza tra domande  nuove implicitamente vietate e domande “modificate” espressamente ammesse non sta  nel fatto che in queste ultime le modifiche non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate nuove nel senso di ulteriori o aggiuntive trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività”.
Le parti dunque, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, con le memorie ex art. 183 sesto comma c.p.c. devono avere la possibilità di porre in essere modifiche profonde, altrimenti lo scambio di memorie si ridurrebbe ad un “ping pong” essenzialmente carente di significato giuridico.
D’altra parte ne è prova inconfutabile il fatto che sovente i difensori, seguaci della ormai sorpassata teoria classica della modifica della domanda, si risparmiano la redazione delle memorie ex art. 183, comma 6, I termine c.p.c., in quanto la stessa si ridurrebbe ad una riproduzione degli scritti precedenti e quindi ad un atto sostanzialmente superfluo.
Pertanto la domanda deve essere considerata come un “work in progress”.
Secondo le Sezioni Unite nel rapporto tra domanda iniziale e domanda modificata non sussiste una semplice connessione per alternatività, ma addirittura per incompatibilità poiché, una volta accertata -  come  nel caso concreto  esaminato dalla Cassazione -  la natura preliminare del contratto e caduta l’autorità di giudicato sulla statuizione, non è più possibile agire per far dichiarare la definitività dello stesso in quanto, se il giudice la pronunciasse, si scontrerebbe con una precedente decisione contrastante.
Si tratta quindi di domande incompatibili, ma pur sempre derivanti dallo stesso negozio stipulato inter partes e volte a soddisfare il medesimo bene della vita: il trasferimento della proprietà di una determinata res.
Nel caso al loro esame le S.U. evidenziano che il diritto di proprietà è uno e unico, pertanto deve essere concesso alle parti il trasferimento da una domanda all’altra senza con ciò cadere nel divieto di mutatio libelli e sarebbe irragionevole il contrario, atteso che il giudicato cadrebbe sempre dentro il confine segnato dalla vicenda sostanziale dedotta in giudizio: ciò che cambia non riguarda la res iudicanda, ma la res probanda.
In conclusione Le Sezioni Unite chiariscono bene che “la differenza tra le domande nuove e quelle modificate è che le prime si aggiungono a quelle originarie, estendendo l’oggetto del giudizio, mentre le seconde non si uniscono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività”.

Scarica la Sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite 2015

6 luglio 2018



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