Corte di Cassazione sentenza n.26697/2023: la cassazione ridefinisce il principio di bigenitorialità quale preminente diritto della prole:

Con la sentenza n. 26697 del 18 settembre 2023, la Cassazione mette in evidenza come la bigenitorialità sia un diritto del minore prima ancora dei genitori, e, come tale, deve essere necessariamente tutelato tramite decisioni che siano finalizzate a realizzare il suo miglior interesse anche nel caso in cui i genitori non siano più “famiglia”, in virtù della responsabilità genitoriale che deriva dal fatto stesso della procreazione.
Ne consegue che il diritto del genitore a vedersi garantite relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore ha carattere “recessivo” perché non può prescindere dal realizzare il miglior interesse del minore.
Pertanto la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un padre che lamentava la lesione del diritto alla bigenitorialità, ritenendo illegittima la decisione della Corte d’Appello di Trieste che, se da una parte disponeva l’affido condiviso di una bimba di sei anni, dall’altra autorizzava la madre a fare rientro con la minore in Israele, suo paese di origine.
La vicenda era iniziata davanti al Tribunale di Udine con la richiesta di Tizia, una volta finita la convivenza con Caio, uomo italiano, di essere autorizzata a fare rientro in Israele con la minore, riconoscendo al padre un ampio diritto di visita ed impegnandosi a farsi carico delle spese di viaggio della figlia verso l’Italia.
Tizia asseriva che da oltre tre anni discuteva con l’ex compagno per ottenere il suo consenso alla partenza anche per la mancanza in Italia di una sua rete familiare e amicale di sostegno e che pertanto una volta finita la relazione voleva ricongiungersi in Israele con la sua famiglia di origine. La donna dichiarava di avere trovato in loco un’abitazione e un’occupazione ben retribuita.
Caio, padre della minore, costituendosi, chiedeva il collocamento della figlia presso di sé, ribadendo il diniego al trasferimento in Israele per il fatto che la minore non conosceva la lingua parlata in quello Stato, soffriva di disturbi dell’apprendimento che l’avrebbero ostacolata anche nell’apprendimento della lingua scritta, che il trasferimento in Israele avrebbe impedito i rapporti con i nonni paterni e che la proposta materna a che la minore trascorresse l’estate in Italia era di difficile realizzazione perché la sua attività lavorativa si concentrava di più nel periodo estivo.
Nel corso del giudizio veniva esperita una CTU al fine di verificare le capacità genitoriali e di individuare le migliori modalità di affidamento della figlia minore; il Tribunale, rilevato che la madre era un genitore presente, accudente, interessata al benessere della figlia e rappresentava la sua principale figura di riferimento, affidava la minore ad entrambi i genitori, in via condivisa fra loro, con collocamento presso la madre, autorizzando la madre a trasferirsi con la minore in Israele. A garanzia del diritto della minore alla bigenitorialità, disponeva che il padre potesse usufruire di un ampio diritto di visita in occasione di tutte le vacanze scolastiche; prevedendo a carico del padre il versamento mensile di un importo di Euro 450,00 a titolo di mantenimento della minore, oltre alla suddivisione a metà delle spese di viaggio.
Contro tale decisione il padre depositava reclamo alla Corte d’Appello di Trieste che, però, rigettava l’impugnazione confermando quanto deciso dal Giudice di prime cure.
Tizio allora ricorreva in Cassazione assumendo leso il principio di bigenitorialità, sostenendo che l’attuazione del diritto del minore alla bigenitorialità dovrebbe essere l’affidamento alternato e che laddove non fosse possibile, il Giudice dovrebbe pur sempre adottare modalità di frequentazione che garantiscano una crescita serena ed armoniosa del minore, cosa che non poteva sussistere data la esorbitante lontananza tra padre e figlia.
Il padre, altresì, sosteneva che i Giudici non avessero operato una reale valutazione dell’impatto negativo del trasferimento in un Paese estero alla luce dei problemi di apprendimento e di linguaggio della bambina e degli effetti negativi derivanti dallo sradicamento dal luogo in cui aveva sempre vissuto e dalla perdita dei riferimenti parentali italiani, mentre sarebbe stato privilegiato il diritto della madre di autodeterminarsi, ritenuto prevalente rispetto alle conseguenze negative che l’esercizio di quel diritto avrebbe comportato per la figlia. Sosteneva infatti Tizio che il trasferimento in Israele avrebbe realizzato di fatto un affidamento esclusivo alla madre, perché irrealizzabile – considerando la notevolissima distanza - quella “stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi”.
La Suprema Corte dichiarava l’inammissibilità del ricorso, affermando che la Corte d’Appello di Trieste aveva dato la regolamentazione dell’affido e della collocazione della minore che meglio rispondeva ai suoi preminenti interessi. Faceva rilevare la Corte infatti che la bambina aveva sempre vissuto con la madre che era stata ritenuta dai consulenti d’ufficio genitore presente, interessata alle necessità della figlia, capace di assolvere alle sue funzioni di cura, capace di fornirle guida e supporto, garantendole adeguato contenimento emotivo in relazione all’età e ai suoi bisogni. Inoltre il CTU, seppure aveva dato atto che il padre era un genitore presente nella vita della figlia con cui aveva una relazione positiva, aveva sostenuto che non era possibile misurarne le competenze reali nel merito delle capacità di accudimento e di cura, poiché la minore era sempre stata collocata presso la madre e gestita quasi completamente da lei, che provvedeva a ogni sua esigenza quotidiana. Per la Corte quindi era acclarato che la bambina necessitava ancora della quotidiana presenza materna e che la madre rappresentava il suo principale punto di riferimento.
Pertanto la Cassazione escludeva che il provvedimento impugnato non avesse giustamente valutato il preminente interesse della minore. atteso che, nel bilanciamento tra i diversi interessi della bambina, sicuramente risultava prevalente quello di mantenere il legame quotidiano con la madre, a cui era abituata dalla nascita.
Secondo la Corte i rapporti della minore con la rete familiare paterna potevano essere coltivati nei prolungati periodi nei quali la figlia sarebbe rimasta con il padre che poteva curare anche i rapporti della figlia con i nonni paterni che, per età, non potevano recarsi a visitarla in Israele.
Sottolineano gli Ermellini che Il diritto alla bigenitorialità è  un diritto del minore prima ancora dei genitori, nel senso che “esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare, in primis, il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta”.
La Suprema Corte sostiene pertanto che i genitori non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro genitore, l’idoneità ad essere collocatari dei figli minori e il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori.

7 marzo 2024



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