La tutela antidiscriminazione delle persone disabili:

La legge 67 del 2006 è una legge di civiltà: sancisce infatti il diritto di chi vive una condizione di disabilità a non essere discriminato e prevede, altresì, che il tribunale competente per territorio possa ordinare la cessazione di un atto o di un comportamento che discrimina. È fondamentale l’ individuazione di ogni forma di discriminazione, che si ha quando una prassi, un provvedimento involontario o un comportamento in apparenza neutro mettono una persona disabile in una posizione di svantaggio rispetto agli altri. Con l’importante riferimento all’art. 3 della Costituzione, l’art.1 della normativa in esame intende garantire la “piena attuazione” della Legge 104/1992 , al cui articolo 3 viene definito disabile colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. La legge distingue tra discriminazione diretta ed indiretta: si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga.

Si ha invece discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti. Pertanto il disabile che ritiene di avere subito un atto discriminatorio sia dal privato che dalla pubblica amministrazione, può depositare il ricorso, anche personalmente, nella cancelleria del tribunale civile in composizione monocratica e può chiedere sia la cessazione del comportamento discriminatorio che il risarcimento del danno.

Il Tribunale, omettendo qualsiasi formalità, procede agli atti di istruzione che ritiene necessari al fine del provvedimento richiesto e decide con ordinanza di rigetto o di accoglimento. In quest’ultimo caso, l’ordinanza è immediatamente esecutiva e la sua mancata osservanza fa scattare il procedimento penale di cui all’art. 388 primo comma del codice penale. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Il giudice può ordinare, altresì, la pubblicazione del provvedimento a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato Nei casi di urgenza, il Tribunale provvede con decreto motivato, assunte, ove occorre, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza, il tribunale in composizione monocratica, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto Competente per territorio è il Giudice del domicilio del ricorrente. Tale competenza è ritenuta inderogabile ex art. 28 c.p.c. e non può subire modifiche, neppure per ragioni di connessione.

Il Tribunale può non solo rimuovere le ragioni o gli atti della discriminazione, ma anche condannare il resistente al risarcimento del danno, inteso come danno non patrimoniale nella sua categoria più ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore attinente alla persona Per quanto riguarda la rappresentanza processuale dei soggetti incapaci, valgono le regole comuni. Saranno legittimati i genitori dei disabili minorenni, i tutori e i curatori degli incapaci totali o parziali, nonché l’amministratore di sostegno, previa autorizzazione del Giudice Tutelare. Tali soggetti legittimati, in base alla previsione dell’art. 4 della Legge 67, possono, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, delegare enti preposti e riconosciuti ad agire in loro vece. C’è da rilevare che tale normativa è ed è stata fondamentale anche per la tutela del diritto allo studio degli alunni portatori di handicap contro eventuali discriminazioni.

La scrivente si è attivata con numerosi ricorsi antidiscriminazione per la tutela di tale diritto di minori disabili presso vari Tribunali, che hanno accolto le istanze dei genitori di questi alunni. In particolare si è trattato di alunni diversamente abili che, all’improvviso, si sono ritrovati le ore di sostegno notevolmente diminuite rispetto all’anno precedente. In tale modo gli alunni disabili venivano defraudati dalla presenza fondamentale del docente di sostegno, privandoli di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, quali , oltre al diritto allo studio , quello all’ integrazione e alla parità di trattamento nei confronti degli altri studenti. Ed infatti , in tali casi, la scelta dell’amministrazione scolastica concretava una illecita discriminazione dei minori portatori di handicap, ex art. 3 della legge 104 del 1992, che, in tal modo, avevano visto lesi i loro diritti costituzionalmente sanciti, essendo stato violato in particolare l’art. 3 della nostra Costituzione , che prevede per tutti parità di trattamento e la rimozione di quegli ostacoli che possono di fatto impedire quella parità ed uguaglianza tra tutti i soggetti. Pertanto , essendosi commessa una grave discriminazione ai danni di tali studenti si procedeva a promuovere ricorso antidiscriminazione ai sensi della legge 67 /2006, che prevede un assoluto divieto di discriminazioni in danno delle persone disabili onde favorirne il pieno godimento dei loro diritti.

Nel caso particolare si aveva una discriminazione indiretta, giacché la riduzione delle ore di sostegno in precedenza garantite non trovava nessuna corrispondente contrazione di didattica per gli alunni non svantaggiati: l’esercizio del diritto allo studio non era stato parimenti ridotto per tutti gli studenti normodotati, provocando così una grave discriminazione indiretta solo per gli studenti disabili. Pertanto poiché la riduzione delle ore di sostegno agli alunni portatori di handicap aveva comportato una contrazione del loro diritto fondamentale all’istruzione, la scelta della pubblica amministrazione, finendo per incidere negativamente solo sulle situazioni giuridiche soggettive dei disabili, concretava una discriminazione indiretta ai loro danni e doveva essere rimossa. I Tribunali hanno accolto tali richieste e hanno ordinato al Ministero dell’Istruzione , Università e Ricerca la cessazione della condotta discriminatoria consistente nella riduzione delle ore di sostegno prestate in favore degli studenti disabili, condannandolo al loro ripristino, alle spese e ad un risarcimento danni valutato in via equitativa. Questa normativa deve essere sempre più diffusa e conosciuta, in quanto la sua applicazione è importante per la tutela dei diritti di chi non ha voce.

Avv. Margherita Corriere

Presidente AMI Catanzaro

7 novembre 2016



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