Sentenza rivoluzionaria della Corte di Cassazione in tema di alienazione genitoriale:

Con la sentenza n. 6919 /2016  la Corte di Cassazione dispone  che non compete alla Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche  sulla PAS ( Sindrome di alienazione parentale ),  in quanto  compito dei giudici è capire e adeguatamente motivare sulle ragioni dell’ostinato rifiuto di vedere il padre   da parte della figlia minore, utilizzando i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia  e anche le presunzioni ,  qualora un genitore denunci  comportamenti ostativi  dell’altro genitore affidatario o collocatario , che provocano l’allontanamento morale e materiale della prole da sé, condotte  indicate come significative della presenza di una PAS.

È essenziale infatti secondo la Suprema Corte tenere conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale ricopre una grande importanza la capacità di garantire la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore , onde tutelare in maniera effettiva e concreta il diritto del minore alla bigenitorialità e ad una sana crescita equilibrata ; infatti è fondamentale per la prole poter intrattenere  rapporti costanti e significativi con entrambe le figure genitoriali , che sono importanti per un sereno e idoneo  sviluppo della  personalità  in itinere.
Occorre a questo punto aprire una piccola parentesi per comprendere cosa sia la PAS. La separazione tra due coniugi è certo un evento traumatico sia per la coppia genitoriale che per la prole: è questo il momento in cui i genitori   devono evitare di cadere nella trappola della conflittualità e aver cura dell’“interesse preminente dei propri figli”, proteggendoli da potenziali effetti laceranti,   impegnandosi per il loro bene, mantenendo  un equilibrato  e sereno rapporto parentale.

Purtroppo non sempre è così; infatti ci sono  casi nei quali uno dei due genitori, in fase di separazione o divorzio, mette in atto una forte  conflittualità nei confronti dell’altro, utilizzando  i figli come strumento di belligeranza, macchinando  atipiche alleanze con loro ai danni dell’altro genitore, che “deve essere eliminato dalla loro vita”.
In tali casi si aprono scenari molto pericolosi soprattutto per il benessere dei minori, che hanno bisogno di entrambe le figure genitoriali per una loro sana crescita psicofisica e che , costretti  emotivamente ed affettivamente a rinunciare ad uno di loro , si troveranno deprivati di una importante figura di riferimento ; nei casi più gravi si parla di alienazione genitoriale, o PAS,  che viene identificata pertanto  come un “disturbo iurigeno”, consequenziale ad un contesto giudiziario molto conflittuale e controverso per l’affidamento della prole.
Nel caso trattato dalla sentenza della Cassazione  il tutto trae  origine dalla fine di una convivenza : la madre lasciava la residenza comune e portava via con sé la figlia nata dalla relazione con l’ex compagno, estraniandola sempre più dalla figura paterna.
Adito il Tribunale per i Minorenni di Milano , l’organo giudiziario con decreto del 27 marzo 2006 disponeva l’affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, collocandola presso la madre e affidando ai servizi sociali il monitoraggio della situazione. Con successivo decreto del 18 novembre 2008  il Tribunale per i Minorenni prescriveva alla minore un trattamento psicoterapeutico, rilevato il suo atteggiamento di netto rifiuto della figura paterna. Ma in questa circostanza, in maniera inverosimile, la definizione concreta del trattamento veniva  lasciata alla madre, incurante di rispettarla.

Con susseguente decreto del 10 dicembre 2011 il Tribunale per i Minori , rigettando le richieste del padre , che sosteneva che il rifiuto della figlia nei suoi confronti era causato da una PAS posta in essere dalla madre con la sua campagna di denigrazione verso la figura paterna, confermava il precedente decreto, attribuendo  il disagio della ragazza nel rapportarsi con il padre a  degli imprecisati e non provati  comportamenti del padre.

Il padre proponeva pertanto  reclamo presso la sezione Minori della Corte di Appello di Milano,  insistendo su nuove indagini peritali che accertassero le ragioni dell’ostilità  della figlia nei suoi confronti  e aiutassero la ripresa dei rapporti padre-figlia. Ma la Corte di Appello con decreto del 17 dicembre 2013 confermava l’affido condiviso ed il collocamento della minore presso la madre e la situazione purtroppo non mutava, mentre  l’ostilità della figlia nei confronti del padre si aggravava.
In tale  situazione  al padre  non rimaneva   che proporre ricorso per Cassazione, con cui si denunciava, in primis, la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c.  – sostituito dopo la riforma con l’art. 337 ter c.c. – vale a dire, la  inosservanza  del  principio della bigenitorialità , cioè del diritto della figlia di poter crescere avendo accanto  in maniera significativa entrambe le figure genitoriali , che si prendano cura di lei, la assistano, la mantengano  e la educhino. Inoltre veniva contestato l’omesso esame di  fatti decisivi , cioè del non aver preso il giudicante  in seria ed adeguata considerazione la condotta della madre, che  aveva contrastato  in tutti i modi il rapporto della figlia con il padre e che, altresì, mai era intervenuta  in maniera idonea   quando la minore manifestava condotte aggressive e  ostili nei confronti della figura paterna. 
Tale grave situazione pertanto andava a ledere il diritto alla vita familiare  tutelato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché in una situazione così delicata l’omesso l’espletamento di accertamenti specifici volti ad individuare l’esistenza di una PAS era sintomatico nel giudice di merito di una ingiustificata ed arbitraria posizione negazionista dell’alienazione genitoriale, che aveva  l’ effetto preclusivo di tutelare in primis il diritto alla bigenitorialità della minore ed il diritto-dovere del padre in quanto tale. Denunciava lo stesso che in conseguenza di ciò la Corte di merito non aveva effettuato quelle opportune e doverose indagini sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia nei suoi confronti , attribuito , senza alcun fondamento ad ipotetici “comportamenti inadeguati” tenuti dal padre nei confronti della figlia e, pertanto, non aveva adottato le idonee misure finalizzate a ristabilire i contatti della stessa con la figura genitoriale paterna, disponendo sic et simpliciter l’interruzione dei rapporti con il padre adducendo che la minore era “a rischio evolutivo”.

La Corte di Cassazione con la decisione in esame ha accolto il ricorso del genitore, osservando, in particolare che la Corte di Appello , nell’ ordinare l’interruzione  della frequentazione padre-figlia , in ragione dell’avversione professata dalla stessa nei confronti del genitore , lo aveva in sostanza escluso dalla vita della minore  solamente in base ad una acritica adesione del giudicante alla conclusioni  finali del c.t.u. trascurando le specifiche censure avanzate dal padre. Ed infatti - sostiene la Corte di Cassazione – il giudice può  aderire alle conclusioni del ctu senza essere onerato di una specifica motivazione ad eccezione che queste non formino oggetto di specifica censura, come nel caso di specie.
E sostiene ancora la Corte di Cassazione  che in tema di affidamento di figli minori il giudizio prognostico deve essere effettuato nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, esaminando la capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione  creatasi a seguito della disgregazione  dell’unione . Pertanto afferma la Suprema Corte che trai requisiti di idoneità genitoriale , ai fini dell’affidamento  o collocamento della prole, è rilevante accertare  la capacità dei genitori  di individuare i bisogni dei figli, tra i quali , in primis  si evidenzia la capacità di riconoscere le loro  esigenze affettive, che si identificano anche  nella capacità di “preservargli la continuità  delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare , al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore”.

Pertanto – conclude la Cassazione – non è compito del Giudice  emettere giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche  della PAS, mentre compete ai  giudici di merito motivare sulle ragioni del rifiuto del padre   da parte della figlia  e verificare in concreto  l’esistenza dei comportamenti , denunciati da parte paterna , finalizzati all’allontanamento fisico e morale  della figlia minore posti in essere dall’altro genitore: il giudice di merito, a tal fine,”  è tenuto ad accertare la veridicità  in fatto dei suddetti comportamenti”,  utilizzando  i comuni mezzi di prova  e anche le presunzioni ed a motivare  adeguatamente , tenendo nel dovuto conto pertanto  l’importanza rivestita tra i requisiti dell’idoneità genitoriale  della capacità di preservare la continuità  delle relazioni parentali con l’altro genitore a tutela  del  diritto della figlia alla bigenitorialità e, di conseguenza, alla sua crescita equilibrata e serena. Quindi la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata dal padre con rinvio alla Corte di Appello di Milano, sez. Minorenni,  in diversa composizione.
È una sentenza  di grande interesse, perché evidenzia  come finalità fondamentale delle pronunce sull’affidamento della prole è preservare il diritto alla bigenitorialità, inteso come esigenza primaria e  del minore di ricevere affetto, cura, attenzione, educazione e istruzione da entrambi i genitori, che, anche in situazioni altamente conflittuali, devono attenzionare gli interessi primari dei loro figli, avendo costantemente la consapevolezza che genitori  responsabili si dovrà essere per tutta la vita.


Avv. Margherita Corriere

Presidente AMI Catanzaro

7 novembre 2016



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